Alla fine del primo conflitto mondiale il Giappone era diventato ormai una grande potenza economica.
Inizialmente, durante gli anni ’20, la sua espansione commerciale sui mercati asiatici avvenne in maniera pacifica.
Nel 1929, però, la crisi seguita al crollo di Wall Street ebbe catastrofiche conseguenze sull’economia nipponica; questo fece in modo che partiti ultranazionalisti, sostenuti dai militari, prendessero sempre più piede sostenendo che, per il Giappone, l’unico modo di uscire dalla crisi era legato a un’espansione territoriale in Asia. L’obiettivo era creare un “nuovo ordine” asiatico con il quale conquistare nuovi territori ricchi di materie prime e petrolio.
Il primo atto concreto del mutamento politico del Sol Levante fu l’invasione della Manciuria nel settembre 1931; entro il gennaio successivo l’occupazione fu completata e venne creato un governo fantoccio. La condanna internazionale verso il Giappone fu pressoché unanime ma, in pratica, non fu preso nessun provvedimento. Nel 1933 fu condannato, come paese aggressore, dalla Società delle Nazioni; per tutta risposta quasi subito dopo ne uscì.
Ormai erano i militari che decidevano, in modo quasi incontrastato, la politica estera nipponica. Tra di loro, però, vi erano due linee di pensiero: l’esercito sosteneva che l’espansione dovesse avvenire sul continente asiatico (e si discuteva se farlo a danno dell’Unione Sovietica o della Cina) mentre la Marina riteneva che bisognasse puntare alle aree petrolifere e minerarie del sud-est asiatico e delle isole del Pacifico sud-occidentale.
Ne uscì un compromesso con cui il Giappone avrebbe cercato di espandersi in entrambe le direzioni venendosi, così, a scontrare con gli interessi delle potenze occidentali.
Nel luglio 1937 iniziò il conflitto con la Cina; nel dicembre i nipponici conquistarono Nanchino e quasi tutta la parte settentrionale del Paese. Chiang Kai-Shek, però, continuò a combattere dato che le sue truppe erano rifornite dagli inglesi e dai sovietici. Un anno dopo anche gli americani aiutarono il governo cinese con un credito di 25 milioni di dollari e iniziarono una forte pressione sui giapponesi minacciando di interrompere i flussi di rifornimento petroliferi.
Le vittorie tedesche del 1940 su Francia e Paesi Bassi offrirono un’ottima occasione ai giapponesi per estendere il loro dominio in Asia. Questi due Stati, infatti, insieme alla Gran Bretagna le cui sorti nel conflitto sembravano volgere al peggio, avevano possedimenti coloniali in Malesia, Birmania e Indocina. Impadronendosi di questi territori, il Sol Levante si sarebbe assicurato il petrolio e nuove basi per chiudere definitivamente il conflitto con la Cina.
Il 16 luglio 1940 l’esercito fece cadere il governo del moderato ammiraglio Yonai sostituendolo con il principe Fumimaro Konoye mettendo Yosuke Matsuoka al Ministero degli Esteri.
La politica estera divenne più aggressiva; sugli olandesi venne fatta una grossa pressione diplomatica per ottenere il controllo dei loro territori coloniali mentre gli inglesi ritirarono le loro guarnigioni di Shangai e Tientsin. Al governo francese di Vichy venne chiesto di poter dislocare nell’Indocina settentrionale aerei e truppe nipponiche.
Infine, per arginare la possibile minaccia portata dagli Stati Uniti, il Giappone, il 27 settembre 1940, firmò il “Patto Tripartito” insieme a Germania e Italia; quest’accordo era diretto contro eventuali aggressioni da parte di Stati non ancora direttamente coinvolti nei conflitti europeo o cinese.
Nell’estate del 1940 i francesi stipularono l’accordo con i giapponesi per l’utilizzo del territorio dell’Indocina settentrionale come base per le operazioni militari contro la Cina.
Il 13 aprile 1941 Matsuoka firmò un patto di non aggressione con i sovietici; quest’accordo, insieme all’attacco tedesco all’Urss sferrato il 22 giugno, rafforzò la convinzione dei militari a rivolgersi verso il sud-est asiatico dato che era stato eliminato il pericolo che Stalin attaccasse il Sol Levante alle spalle. A un’offensiva verso sud erano, però, contrari sia Konoye sia l’ammiraglio Nagano, Capo di Stato Maggiore della Marina, che temevano un’eventuale reazione americana.
Alla fine fu deciso, in una conferenza alla quale era presente anche l’Imperatore, di mandare altre truppe in Manciuria e, contemporaneamente, di porre un ultimatum ai francesi contenente la richiesta di occupare alcune basi aeree, terrestri e navali nell’Indocina meridionale, basi che avrebbero messo Singapore nel raggio d’azione dei bombardieri giapponesi.
Sul fronte diplomatico, intanto, i nipponici portavano avanti le trattative con gli americani e, come gesto distensivo, sostituirono Matsuoka con l’ammiraglio Toyoda, meno aggressivo del predecessore.
Il 24 luglio, però, i francesi accettarono anche le nuove richieste giapponesi.
Ormai gli Stati Uniti si resero conto che il Sol Levante era diventata una minaccia economica e militare che minacciava i suoi interessi e contro la quale bisognava iniziare a prendere provvedimenti.
Roosevelt, stavolta, reagì congelando tutti i depositi giapponesi negli Stati Uniti e bloccando la fornitura di benzina per aerei. Dopo che anche Gran Bretagna e Olanda fecero lo stesso, il Giappone si trovò a dover affrontare un arresto totale delle forniture di petrolio (importava circa il 90% del petrolio dagli Usa).
Le scorte nipponiche, in caso di conflitto, sarebbero bastate solamente per un anno e mezzo e anche la guerra con la Cina non sarebbe finita prima dell’esaurimento delle riserve.
Il Sol Levante, ormai, non aveva più scelta: se voleva assicurarsi il dominio del sud-est asiatico, avrebbe dovuto impadronirsi con la forza dei giacimenti del settore meridionale. Questo avrebbe significato anche conquistare i possedimenti inglesi e americani che si trovavano lungo le linee di rifornimento come Sumatra, Giava, il Borneo e le Filippine.
L’operazione doveva essere organizzata prima della fine del 1941 perché l’anno dopo le scorte di petrolio sarebbero scese a un livello troppo basso; bisognava anche impiegare quasi tutte le risorse della Marina e dell’Aviazione, oltre a quindici divisioni dell’esercito.
Ormai era chiaro che i militari giapponesi miravano al conflitto con gli Usa; per cercare di evitarlo, invece, il 28 agosto 1941 Konoye chiese di incontrarsi con Roosevelt per cercare di trovare un accordo per via diplomatica. Cordell Hull, Segretario di Stato americano, consigliò, però, a Roosevelt di rifiutare l’incontro poiché Konoye era considerato troppo debole per far rispettare in patria un eventuale accordo.
Quest’ultimo sapeva anche che qualsiasi trattativa con gli Usa sarebbe stata inutile se i nipponici non fossero stati disposti a far cessare le ostilità con la Cina; a questo si opponeva decisamente il ministro della guerra, il generale Hideki Tojo, il quale sosteneva che la firma della pace avrebbe avuto un duro colpo sul morale dell’esercito e incoraggiato gli americani a chiedere altre concessioni.
Il 14 ottobre Konoye chiese per l’ennesima volta a Tojo di approvare una ritirata dalla Cina ma quest’ultimo fu irremovibile; il sedici il primo ministro si dimise e, il giorno dopo, fu sostituito proprio da Tojo.
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