Durante il 1941 i tedeschi effettuarono continue richieste alla Marina italiana affinché attaccasse in maniera più massiccia e decisa i convogli britannici che, dai porti egiziani e della Cirenaica, portavano di materiali e truppe alle forze alleate dislocate in Grecia; infatti, Hitler ormai riteneva imminente un suo intervento nei Balcani per appoggiare le truppe italiane impegnate nella guerra contro lo stato ellenico.
Inoltre Supermarina voleva dimostrare al proprio alleato di essersi ripresa dall’attacco subito a Taranto e di avere ancora grosse capacità offensive.
Supermarina predispose un piano che consisteva nell’effettuare due rapide incursioni offensive (una a nord ed una a sud di Creta) in caccia del traffico inglese. Gli italiani, in caso di superiorità, avrebbero dovuto attaccare i convogli nemici e la loro scorta, dopo di che sarebbero rientrati nei loro porti.
Per attuare il piano, Supermarina scelse di schierare forze consistenti; dietro consiglio tedesco decise di far uscire la corazzata “Vittorio Veneto”, la prima divisione di incrociatori pesanti (composta dallo “Zara”, dal “Pola” e dal “Fiume”) e la terza (“Trento”, “Trieste” e “Bolzano”), l’ottava di incrociatori leggeri (“Garibaldi” e “Duca degli Abruzzi”) e un buon numero di cacciatorpediniere di scorta.
Anche la scorta aerea sarebbe stata imponente: oltre alle forze della Regia Aeronautica di base in Italia e nell’isola di Rodi, sarebbero state impiegate anche quelle tedesche (forti di circa 200 bombardieri e una settantina di caccia) di base in Sicilia.
Per la riuscita del piano era fondamentale il fattore sorpresa; se gli italiani fossero stati scoperti prima di arrivare nelle acque di Creta, gli inglesi avrebbero di sicuro spostato i loro convogli e cercato di intercettare il nemico con la "Mediterranean Fleet" di base ad Alessandria.
Lo scontro di Gaudo
La mattina del 27 marzo, a est della Sicilia, la “Vittorio Veneto” si riunì con la III Divisione ma fu avvistata da un ricognitore inglese; questi comunicò subito la sua localizzazione al proprio comando e il fattore sorpresa, quindi, venne completamente a mancare. Nonostante questo, Supermarina confermò l’operazione ordinando alle navi di riunirsi, la mattina dopo, vicino all’isolotto di Gaudo in modo da attaccare i convogli nemici a sud di Creta.
L’Ammiraglio Cunningham, una volta dirottati tutti i convogli in navigazione verso Creta, comunicò alla sua flotta di trovarsi poco più a est del punto dove dovevano radunarsi le navi italiane. L'Ammiraglio Iachino, però, al contrario del suo avversario, era all’oscuro delle mosse nemiche e, inoltre, l’aviazione italiana dell’Egeo non fece nessuna ricognizione su Alessandria o in mare per ricercare il traffico mercantile nemico.
In condizioni di mare calmo e buona visibilità, la mattina del 28 marzo, la flotta italiana giunse nelle acque di Gaudo divisa in due raggruppamenti: Vittorio Veneto e III Divisione in posizione avanzata, I e VIII Divisioni Incrociatori in posizione arretrata.
La mattina del 28 marzo Iachino fece lanciare due ricognitori per individuare convogli e navi nemiche fino a 100 miglia e questi avvistarono 4 incrociatori e i 4 cacciatorpediniere dell'ammiraglio Pridham-Wippell; quasi nello stesso momento un aereo della “Formidable” avvistò la flotta italiana.
Iachino, pensando che avesse di fronte solo la scorta di un convoglio nemico, ordinò alle sue navi di inseguire gli incrociatori nemici contando sulla maggior velocità dei suoi “classe Trieste”. Questi ultimi aprirono il fuoco alle 08.12, da circa 24.000 metri, con i cannoni da 203 mm ma senza centrare nessun bersaglio. Gli inglesi, intanto, stavano riuscendo nel loro piano di portare gli incrociatori nemici a tiro delle proprie corazzate.
Il servizio di decrittazione comunicò a Iachino che si trovava di fronte una formazione navale nemica consistente che, probabilmente, comprendeva anche una portaerei; a questo punto, anziché, come richiedeva il buon senso, annullare la missione e rientrare immediatamente alla base, Iachino fece un altro tentativo di ingaggiare gli incrociatori inglesi manovrando in modo aggirarli da est con la Vittorio Veneto e da ovest con la III Divisione.
Il Vittorio Veneto colpì gli incrociatori inglesi con pochi colpi isolati non arrecando danni; questi ultimi si ritirarono ad alta velocità coprendosi con cortine di fumo.
Cunningham, venuto a sapere dello scontro, mandò un gruppo di aerosiluranti della Formidable contro il Vittorio Veneto; lanciarono a bassa quota ma da notevole distanza e mancarono il bersaglio.
Iachino pensò che i velivoli provenissero da Creta e, temendo altri attacchi, decise di prendere la rotta nord-ovest verso Taranto.
Lo scontro di Capo Matapan
Gli inglesi conoscevano la posizione delle navi italiane e, alle 14.20 e alle 14.50, effettuarono, con bombardieri, due attacchi alla “Vittorio Veneto” ma entrambi senza esito.
Un terzo attacco, lanciato alle 15.19 da bombardieri e aerosiluranti a bassa quota, andò, invece, a segno; un siluro centrò la “Vittorio Veneto” a poppa e la corazzata imbarcò 4.000 t di acqua mandando in avaria le due eliche di sinistra. Dovette ridurre la velocità a 16 nodi e, per proteggerla da altri attacchi, venne disposta, attorno ad essa, una formazione compatta di 18 unità (su cinque colonne) con l'ordine di emettere cortine di nebbia in caso di arrivo di aerei nemici.
Alle 19.30, infatti, arrivò un attacco di dodici aerosiluranti inglesi che colpirono il “Pola” e lo fecero rimanere privo di propulsione ed energia elettrica.
A questo punto Iachino, con una decisione sorprendente e sapendo della presenza delle navi nemiche, decise di lasciare la sua I Divisione a soccorrere il “Pola”.
Quando diventò buio l'Ammiraglio Cunningham ordinò a 4 incrociatori e a 8 cacciatorpediniere di cercare un contatto notturno con le navi italiane; infatti, i britannici potevano contare sull’ausilio del radar e le loro navi, al contrario di quelle italiane, erano attrezzate per il combattimento anche di notte. Individuarono il “Pola” e, mentre gli si avvicinavano, avvistarono anche le altre navi italiane che giungevano in suo aiuto.
In soli 3 minuti i britannici colpirono lo “Zara”, il “Fiume” i cacciatorpediniere “Alfieri” e “Carducci” e danneggiarono seriamente “l’Oriani”.
Alla fine Cunningham, temendo la presenza di altri cacciatorpediniere italiani, si allontanò dal luogo del combattimento, lasciando ai caccia inglesi il compito di affondare il “Pola”.
Le navi in fiamme ma ancora galleggianti furono affondate dai cacciatorpediniere inglesi.
I morti italiani furono 2.303.
La tragedia di Capo Matapan era dovuto al livello di arretratezza in cui versava la Regia Marina al cospetto della Royal Navy; infatti, oltre al fatto di non possedere il radar, venne evidenziata la mancanza di una propria portaerei che avrebbe consentito di lanciare attacchi dall’alto e ricognizioni. Infine l’altro grosso e determinante vantaggio inglese era di possedere Ultra con il quale poteva decrittare i messaggi cifrati nemici e, quindi, conoscerne in anticipo le mosse.
La Battaglia del convoglio Tarigo
Per rifornire le truppe sul fronte africano, il 13 aprile 1941, da Napoli, partì verso Tripoli un convoglio formato da quattro trasporti truppe tedeschi (“Adana”, “Arta”, “Aegina” e “Iserlhon”) e dal mercantile “Sabaudia” carico di munizioni. La scorta era formata dal cacciatorpediniere Classe Navigatori ”Tarigo” (al comando del Capitano di fregata Pietro de Cristofaro) e dai due cacciatorpediniere classe Folgore “Baleno”e “Lampo”.
Supermarina aveva programmato il viaggio in modo da poter contare sull’appoggio dell'aviazione ed in modo da transitare vicino a Malta in orario diurno, dato che le condizioni erano più favorevoli per difendersi da attacchi navali o aerei.
Una volta superate le Isole Egadi, il convoglio incontrò un forte che ne rese impossibile il procedere in formazione disperdendo le varie navi e rallentandone la velocità sui tempi previsti; inoltre, i ricognitori aerei non ebbero possibilità di levarsi in volo, al contrario di quelli inglesi che individuarono la formazione italiana la mattina del 15 aprile.
Gli italiani, quindi, non si accorsero che da Malta erano intanto usciti quattro cacciatorpediniere sotto il comando del Capitano P. J. Mack; questi ultimi, dato che potevano contare sul radar, individuarono subito il convoglio nemico.
Alle 02:20del mattino del 16 aprile le navi inglesi aprirono il fuoco da soli 2.000 metri di distanza; il “Lampo” ed il “Baleno” furono subito colpiti e messi fuori combattimento, il “Sabaudia” affondò subito dopo insieme agli altri mercantili. Ne uscì quasi indenne solamente l’Arta ma venne poi affondato dal sommergibile Upholder il 26 aprile.
Il “Tarigo” reagì agli attacchi delle navi inglesi ma fu presto colpito ed avvolto dalle fiamme che causarono molte vittime tra l’equipaggio; De Cristofaro, ferito anch’esso, però continuò a dirigere le operazioni sulla propria barca e i suoi siluristi riuscirono ad affondare il “Mohawk”.
Le altre navi britanniche si allontanarono, poi, rapidamente dal luogo della battaglia.
Il comando marittimo italiano in Libia la spedizione di soccorso che vide coinvolti 4 cacciatorpediniere, 5 torpediniere, 2 piroscafi la nave soccorso-aerei “Orlando” e la nave ospedale “Arno”; dei 3.000 uomini totali imbarcati ne vennero recuperato solo 1.271.
Morì anche De Cristofaro che, in seguito, ricevette, alla memoria, la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
La Battaglia di Capo Bon
Allargo di Capo Bon, in Tunisia, la notte fra il 12 e 13 dicembre del 1941 avvenne uno scontro tra due incrociatori leggeri italiani (scortati dalla torpediniera “Cigno”) e una flotta di cacciatorpediniere inglesi.
Data la quantità elevata di naviglio mercantile (destinata al fronte nordafricano) persa nel 1942 e vista la necessità di rifornire i contingenti dell’Asse con grossi quantitativi di rifornimenti di benzina per aerei, nafta, viveri e munizioni, Supermarina decise che l’inviare veloci incrociatori leggeri stipati di rifornimenti avrebbe risolto il problema.
Le due unità prescelte furono l’incrociatore “Alberto da Giussano” e il “Alberico da Barbiano”, al comando dell'ammiraglio di divisione Antonino Toscano.
I due incrociatori italiani salparono da Taranto la mattina del 5 dicembre e, alle 17:00 dello stesso giorno, arrivarono a Brindisi per imbarcare il materiale da inviare in Libia. Tra questo materiale vi erano molti fusti non stagni che contenevano benzina per aerei dell'Asse.
Il materiale caricato a bordo era talmente tanto che le navi ne risultarono notevolmente appesantite dall'insolito carico, ed rendendo addirittura problematica la vita del personale di bordo dati gli spazi strettissimi. Squadre antincendio aggiuntive, dotate di tute di amianto furono imbarcate per l'occasione, ma le navi sembrarono ai più come dei barili di esplosivo galleggiante.
I due incrociatori partirono per Palermo subito dopo aver completato le operazioni di carico e vi arrivarono la mattina del 7. A questo punto doveva unirsi alla missione anche il “Bande Nere” giunto appositamente da La Spezia; per problemi all’apparato motore, però, dovette rinunciare e il suo carico dovette rimanere imbarcato sugli altri due incrociatori. Al suo posto venne mandata la torpediniera “Cigno”.
Il “Da Barbiano” e il “Di Giussano” lasciarono Palermo diretti a Tripoli, il giorno 11; dopo essere stati localizzati da due aerei inglesi, però, i due incrociatori rientrarono in porto; ripartirono il giorno seguente dopo aver caricato nuovi bidoni di carburante.
Grazie alle intercettazioni di Ultra, gli inglesi fecero partire da Gibilterra 4 cacciatorpediniere (“Sikh”, “Maori”, “Legion” e l’olandese “Isaac Sweers”); vennero scoperti da un aereo italiano, il quale informò subito Supermarina che, incredibilmente, non prese nessuna contromisura affermando le navi italiane sarebbero transitate nel probabile punto d'intercettazione (il promontorio tunisino di capo Bon) qualche ora prima di quelle inglesi.
Alle 3.15 del 14 dicembre, avvalendosi dell’aiuto del radar e completamente di nascosto, gli inglesi si misero in posizione di lancio e lanciarono dieci siluri a cui rispose il “Cigno” ma senza nessun risultato.
Alle 3:20 il “Barbiano” venne centrato da diverse cannonate in coperta e in plancia; prese subito fuoco e lo scoppio dei fusti di benzina che si trovavano a bordo fecero sì che le fiammate furono talmente alte che si videro anche da grande distanza; alle 3:35 affondò portando con sé tutto lo Stato Maggiore dell'unità e una buona parte dei loro uomini.
Alle 3.24 il “Giussano” venne colpito da due siluri lanciati dal “Legion” che tranciarono delle grosse tubazioni che portavano vapore alla motrice di prora ustionando numerosi uomini dell’equipaggio. Altri colpi caddero vicino ai depositi di munizioni per i cannoni e numerosi incendi scoppiarono in ogni parte della nave. Per questo il comandante Marabotto dette l’ordine di abbandonare e gran parte dell’equipaggio si tuffò in mare e prese posto negli zatterini di salvataggio; una volta in mare vennero mitragliati da aerei inglesi che causarono numerose vittime. Alle 4:30 il “Giussano” si spezzò in due tronconi e affondò a sud-est di capo Bon.
Molti naufraghi sopravvissuti furono presi a bordo dalla torpediniera “Cigno”, che si era temporaneamente allontanata durante per evitare i mitragliamenti aerei. La torpediniera rientrò a Trapani il pomeriggio del 13 dicembre con 645 persone superstiti. I dispersi in mare, invece, risultarono più di 800.
La prima Battaglia della Sirte
La Prima battaglia della Sirte avvenne il 17 dicembre 1941 nel mar Mediterraneo a nord del Golfo della Sirte e a occidente di Malta.
Lo scontro fu causato dall’incrocio tra due convogli di rifornimento, uno britannico che procedeva da est verso ovest, e uno italiano diretto da nord verso sud.
Il convoglio britannico era costituito dal mercantile britannico “Breconshire” che, il 15 dicembre, partì da Alessandria d'Egitto per trasportare combustibile alle unità che si trovavano a Malta; la sua scorta consisteva negli incrociatori “Naiad”, “Euryalus” e “Carlisle” e in otto cacciatorpediniere.
Il giorno 16, da Napoli, partì verso Tripoli un convoglio italiano fortemente scortato da una grande forza italiana.
Verso sera le navi italiane aprirono il fuoco da una distanza di 32 km ma gli inglesi fecero allontanare il Breconshire verso sud scortato da due cacciatorpediniere, mentre, con il resto delle navi, alzarono cortine fumogene per confondere gli avversari. Nella notte il contratto tra le flotte venne perso e il mercantile britannico riuscì a raggiungere Malta senza danni, usufruendo anche della scorta della Forza K. A destinazione giunse anche il convoglio italiano.
Quest’ultima si mise poi alla ricerca del convoglio italiano, ma, al largo di Tripoli, entrò in un campo minato dove affondarono la “Neptune” e la “Kandahar”; anche “'Aurora” e la “Penelope” subirono gravi danni.
Anche il convoglio italiano riesce a sua volta a giungere a destinazione indenne.
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