martedì 30 marzo 2010

La campagna di Grecia (1941-1942)

All’inizio del 1941 i greci erano ormai all’offensiva e attaccavano in direzione di Klisura (che fu evacuata dagli italiani), di Berat e di Valona; i combattimenti erano aspri e gli italiani non erano in grado di lanciare una controffensiva nonostante Mussolini ne facesse continua richiesta a Cavallero.
Per rimediare al fallimento italiano e venire in soccorso del suo alleato Hitler iniziò a organizzare “l’operazione Marita” per l’invasione e l’occupazione della Grecia; venuto a conoscenza della possibile invasione tedesca, Metaxas, che ormai era gravemente malato, cercò di avere aiuti da parte degli inglesi ma Wavell poté inviare solo un reggimento di artiglieria, uno contraereo e una sessantina di carri armati.
Metaxas morì il 29 gennaio. Gli successe Alexandros Koritzis, governatore della Banca Ellenica, che rinnovò subito agli inglesi la richiesta di maggiori rinforzi. Churchill temeva che i greci, se non aiutati con mezzi e truppe, potessero in qualche modo accordarsi coi tedeschi e inoltre riteneva che, con la conquista della penisola balcanica da parte di Hitler, la Turchia sarebbe potuta entrare nel conflitto a fianco dell’Asse; ordinò quindi a Wavell di inviare subito sul fronte greco tutte le forze non strettamente indispensabili in Cirenaica.
Il 23 febbraio Koritzis accettò ufficialmente l’aiuto della Gran Bretagna consistente in circa 100.000 uomini (anche se alla fine ne sbarcarono non più di 57.000), 240 pezzi di artiglieria, quasi 200 cannoni antiaerei e 142 carri armati; queste forze furono assegnate al comando del generale Henry Maitland Wilson che arrivò ad Atene il 28.
Il 9 marzo Cavallero, alla presenza di Mussolini nel frattempo giunto in Albania, lanciò un attacco nel settore tra Tomor e il fiume Voiussa ma, dopo quattro giorni di combattimento che causarono dodicimila morti, gli italiani non riuscirono nemmeno a fare una piccola avanzata! Vi era stata, infatti, una scarsa preparazione di artiglieria mediante pezzi tutti di piccolo calibro, un insufficiente addestramento dei rincalzi e l'assenza di un efficace appoggio aereo.

La Germania si prepara all’invasione della Grecia

La decisione italiana di attaccare la Grecia non piacque affatto a Hitler che, in cuor suo, sperava di conquistare la penisola balcanica con manovre politiche; con la sua offensiva Mussolini, invece, aveva, in pratica, offerto agli inglesi la possibilità di mandare truppe e aerei nei Balcani e di minacciare, quindi, i preziosi pozzi petroliferi romeni. Inoltre Hitler non voleva che i Balcani costituissero una “spina nel fianco” per il suo attacco all’Unione Sovietica che, ormai, era stato fissato definitivamente per la metà del 1941.
La pressione diplomatica che il Fuhrer esercitò su Ungheria, Romania e Bulgaria fece si che questi Stati divenissero in pratica satelliti della Germania.
Il 13 gennaio 1941 Re Boris di Bulgaria venne invitato da Hitler in Germania per tre motivi: aderire al Patto Tripartito, consentire alle truppe tedesche il transito sul proprio territorio in vista dell’attacco alla Grecia e schierarsi militarmente a tutti gli effetti accanto alle potenze dell’Asse; dieci giorni dopo il capo di Stato Maggiore dell’esercito bulgaro preparò un piano di collaborazione e cooperazione con i nazisti.
L’adesione bulgara al Patto venne siglata il primo marzo a Vienna; il giorno dopo le truppe tedesche destinate all’invasione greca incominciarono a passare sul suo territorio per posizionarsi proprio sul confine con lo Stato ellenico. La Gran Bretagna ruppe le relazioni diplomatiche con Sofia.

Il colpo di stato in Jugoslavia

Il 14 febbraio toccò al presidente del consiglio jugoslavo Dragisa Cvetkovic ricevere dal Fuhrer la richiesta di entrare nel Patto Tripartito; venti giorni dopo rinnovò la richiesta al principe Paolo, reggente di Jugoslavia, con la promessa che, in cambio del libero transito dei suoi soldati attraverso il suo territorio, la Jugoslavia si sarebbe annessa il porto di Salonicco e una parte della Macedonia.
Nel Paese, però, ci furono molte dimostrazioni antitedesche e anti italiane che coinvolsero contadini, esercito e Chiesa. Irritato, Hitler il 19 marzo lanciò un ultimatum concedendo solo 5 giorni di tempo per aderire al Patto; il 25 il ministro degli esteri Markovic e Cvetkovic firmarono il trattato di adesione nonostante gli ammonimenti ricevuti dal governo britannico.
Al ritorno in patria, però, i due vennero arrestati in seguito a un colpo di stato messo in atto da un gruppo di ufficiali dell’aeronautica capeggiati dal capo di Stato Maggiore Dusan Simovic; questi rovesciò il governo, costrinse all’esilio il principe Paolo e formò un esecutivo di unità nazionale che stipulò quasi subito un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica.
Il Fuhrer decise di invadere militarmente la Jugoslavia in quanto la considerava ormai uno Stato nemico ed il 30 marzo approvò, fin nei dettagli, il piano di attacco chiamato “operazione Marita”. Anche l’Ungheria, che già si trovava nell’orbita tedesca, decise di partecipare al’invasione insieme alla Germania.

L’attacco tedesco alla Jugoslavia

Il 6 aprile 1941, alle ore 5.15, la Germania diede il via all’operazione "Marita" invadendo la Jugoslavia e dichiarando guerra alla Grecia; le sue forze, al comando del generale List, consistevano in sei divisioni di fanteria, tre motorizzate e due corazzate (con 200 carri armati); inoltre erano presenti il XLI corpo motorizzato e il 1° Panzergruppe mentre la Luftwaffe schierava quasi 800 aerei tra bombardieri, caccia e ricognitori.
Venne subito effettuato un pesantissimo bombardamento su Belgrado (operazione “Castigo”) e su tutti i campi d’aviazione.
La 2° armata tedesca, agli ordini di von Weichs, partendo dall’Austria e dall’Ungheria, puntò direttamente sulla capitale mentre la 12° armata di List attaccò verso Strumica; infine, il gruppo corazzato di von Kleist, avanzando dalla Bulgaria, si diresse sia a nord verso Nis sia a sud verso Skopje per tagliare i collegamenti tra le truppe jugoslave e quelle greche.
Il giorno successivo i nazisti occuparono Skopje e si diressero verso Monastir mentre, nel nord, puntarono verso Zagabria; intanto anche l’Italia aveva dichiarato guerra alla Jugoslavia e le sue truppe superarono la frontiera giuliana.
L’esercito jugoslavo poté fare ben poco contro la netta superiorità tedesca; il 10 aprile cadde Zagabria, il 12 la capitale Belgrado e il 16 Sarajevo. Nel frattempo gli italiani avanzavano sia verso Lubiana sia verso Spalato e Ragusa (l’attuale Dubrovnik) mentre gli ungheresi si diresse verso Novi Sad.
Il 17 aprile le ultime sacche di resistenza si arresero. L’atto di resa fu firmato a Belgrado alla presenza di Markovic per la Jugoslavia, von Weichs per la Germania e Bonfatti per l’Italia. Furono fatti prigionieri circa 334.000 uomini.
Il governo jugoslavo riparò, in esilio, prima in Grecia e poi a Londra. La Croazia si proclamò indipendente e venne messo a capo dello Stato Ante Pavelic, leader del movimento separatista locale e, in pratica, fantoccio di Mussolini.

L’attacco tedesco alla Grecia

A fronteggiare le forze di Hitler vi erano 4 divisioni greche e, una cinquantina di chilometri più indietro, il corpo di spedizione britannico di Wilson. Altre 3 divisioni greche erano schierate lungo la “linea Metaxas”, una catena di fortificazioni di circa 160 km che andava dai monti Belastica fino alla foce del fiume Nestos.
Il XVIII corpo d'armata doveva sfondare la linea Metaxas al centro e il XXX corpo d'armata doveva avanzare nella Tracia occidentale; queste due offensive avrebbero tagliato fuori l'armata greca situata nella Macedonia orientale.
Il 6 aprile 1941 il XXX corpo d'armata tedesco penetrò nella pianura di Komotini, nella Tracia orientale. Qui i greci erano inferiori di numero e male equipaggiati e non opposero grossa resistenza; Soltanto i due forti di Nymféa e di Echinos riuscirono a tenere testa per l'intera giornata.
Due colonne tedesche si diressero verso Xánthi mentre una terza si spinse verso Alessandropoli, sulla costa.
Il XVIII corpo d'armata tedesco, invece, sferrò tre attacchi contro tre punti diversi del settore centrale della linea Metaxas mentre la 72ª divisione di fanteria (con l'appoggio di carri armati, artiglieria e degli Stuka) avanzò da Nevrokop dirigendosi verso sud per attaccare la linea stessa a nord di Serre.
Mentre la Luftwaffe continuava a martellare i depositi militari nelle retrovie della linea difensiva greca danneggiando comunicazioni e impianti ferroviari, la 2ª divisione corazzata tedesca, la sera del 7 aprile, entrò a Dojran, all’estremità sinistra della linea difensiva greca.
L'aggiramento della linea Metaxas fu completato l'8 aprile dal XVIII corpo d'armata e causò la capitolazione dell'armata greca nella Macedonia orientale; il giorno dopo il grosso della colonna di carri armati tedeschi entrò a Salonicco. Settantamila uomini furono fatti prigionieri.
I tedeschi, con 15 divisioni, continuarono a premere sulle truppe greche e britanniche e, in una riunione con i comandanti britannici e con gli ufficiali dello stato maggiore ellenico, Wilson decise di ritirarsi; infatti, tenendo conto che la Luftwaffe in cielo era incontrastata, solamente il continuo arretramento poteva salvare il corpo di spedizione britannico dall'annientamento totale. Durante i giorni dal 14 al 25 aprile, la prima brigata corazzata non fece altro che ripiegare.
Nel frattempo anche gli italiani, il giorno 14, passarono all’offensiva e il loro attacco permise di riconquistare Corcia, Permeti, Argirocastro e Porto Palermo mentre alcune divisioni avanzarono nell’Epiro. Il 24 la nona armata di Mussolini arrivò al ponte di Perati congiungendosi con le truppe tedesche.
Il 18 aprile i nazisti oltrepassarono il monte Olimpo e presero la città di Larissa mentre, nel frattempo, il XL corpo d’armata entrò a Florina e Trikkala; in questo modo riuscirono a incunearsi tra i soldati greci a ovest e il corpo di spedizione britannico a est. Sbarrarono anche la ritirata alle truppe elleniche che arretravano davanti all’attacco italiano in Epiro.
Per i greci ormai la lotta era finita mentre i britannici cercavano di raggiungere il più velocemente possibile i punti prefissati per il reimbarco lasciando le retroguardie ad opporre un’ultima resistenza alle Termopili.

La resa della Grecia

Dopo che il comandante dell’armata greca della Macedonia occidentale aveva già avviato trattative per la resa, il giorno 19 si tenne una riunione tra il re Giorgio II, Papagos, Wavell e Wilson; in essa i greci accettarono che il corpo di spedizione britannico lasciasse la Grecia continentale.
Due giorni dopo una divisione corazzata tedesca arrivò a Giannina accerchiando completamente i greci. A Larissa venne firmata la capitolazione dell’esercito ellenico e 16 divisioni deposero le armi. Il 23 aprile, presso Salonicco, venne sancita la resa anche con gli italiani.
Il 24 il generale Papagos si dimise, l'esercito greco capitolò e il re partì per l'esilio.
La Germania occupò militarmente la Macedonia centrale e orientale con l'importante porto di Salonicco, la capitale Atene e le isole dell'Egeo Settentrionale; la Bulgaria ottenne la Tracia; l'Italia, ottenne il controllo del resto del territorio greco.
Ad Atene venne instaurato un governo militare sotto il controllo tedesco e guidato dal Generale Tsolakoglu.

L’evacuazione britannica

La resistenza alle Termopili era importante per i greci e i britannici; infatti essi dovevano mantenere il controllo su tutto il Peloponneso per poter evacuare il grosso delle loro truppe.
L'inizio delle operazioni di reimbarco fu programmato per la sera del 24 aprile; era quindi fondamentale fermare l’avanzata tedesca il più a lungo possibile fino al 23, quando i soldati destinati a imbarcarsi il giorno successivo avrebbero dovuto cominciare a dirigersi verso la costa.
L’attacco delle truppe di Hitler, però, venne sferrato solamente il 24 perché esse, a causa della loro veloce avanzata, persero il contatto con i rifornimenti e dovettero impiegare quattro giorni per ristabilirlo; i britannici ne approfittarono cosi per rinforzare le loro difese e, la sera del 23, per mandare verso i porti di imbarco la 5ª brigata neozelandese.
Alle 7.30 del 24 l'offensiva alle Termopili iniziò con utilizzo di cannoni, carri armati, artiglieria e bombardieri in picchiata ma, la sera, i tedeschi non erano ancora riusciti ad avanzare.
Il 25 reparti di paracadutisti tedeschi della 7° divisione si lanciarono oltre il canale di Corinto che venne poi attraversato da una divisione corazzata; da qui i nazisti dilagarono per tutto il Peloponneso.
I britannici resistettero alle Termopili e in una nuova linea a sud di Tebe fino alla mattina del 26; questa resistenza fece in modo che potessero essere evacuati complessivamente più di 18.000 uomini (anche se ne rimanevano ancora più di 40.000).
Il giorno 27 le truppe italo-tedesche entrarono in Atene mentre la settimana successiva gli italiani occuparono le isole greche dello Ionio: Cefalonia, Zante ed Itaca.
Il 28, dai porti di Nauplia, Monemvasia e Kalamata, vennero evacuati 43.000 tra britannici e polacchi che si imbarcarono su 6 incrociatori, 19 cacciatorpediniere e numerose piccole navi da trasporto. Settemila soldati non fecero in tempo a salire sulle navi e furono fatti prigionieri.
La campagna di Grecia era conclusa ma restava in mano inglese l'isola di Creta che le truppe di Hitler conquistarono poi con un’operazione condotta da reparti di paracadutisti.

Conclusioni

Per la seconda volta dopo Dunkerque l'esercito britannico dovette lasciare il continente europeo; nonostante l’80 per cento dei suoi effettivi fosse stato salvato, subì comunque grandissime perdite: 12.000 uomini, circa 200 velivoli, 400 cannoni, 1.800 mitragliatrici, 8.000 veicoli e 27 navi affondate.
La campagna di Grecia, però, influenzò l’opinione pubblica statunitense che condannò l’invasione tedesca e contribuì a far approvare al Congresso la legge “affitti e prestiti” con la quale venne dato inizio alle fondamentali forniture di materiale bellico americano.
Anche il bilancio italiano fu terribile; si ebbero 13.755 morti, 50.784 feriti, 12.638 congelati, 25.067 dispersi e 52.108 invalidi. Inoltre si mise in evidenza tutta la debolezza della potenza militare del Duce perché nessuno poteva prevedere che non sarebbe riuscito ad avere la meglio sulla piccola Grecia.
L’aspirazione di Mussolini di poter condurre in piena autonomia da Hitler la cosiddetta "guerra parallela" era definitivamente sfumata e l’Italia avrebbe, quindi, potuto proseguire la guerra solo come “satellite” della Germania.

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