Le biografie dei protagonisti

LA BIOGRAFIA DI ERICH VON MANSTEIN

Erich Von Manstein, ritenuto uno dei più abili strateghi della seconda guerra mondiale, nacque a Berlino nel 1887 da una famiglia appartenente alla nobiltà militare prussiana; era il decimo figlio di Eduard Von Lewinski, generale di artiglieria, ma fu adottato dalla sorella sterile di sua madre, moglie di George Von Manstein.
All’età di 13 anni entrò nel “Kadettenkorps” e, durante i periodi di soggiorno a Berlino, servì nel Corpo dei Paggi alla corte del Kaiser Guglielmo II. A vent’anni fu assegnato al 3° reggimento guardie a piedi dove rimase sette anni. Nel 1913 entrò alla “Kriegsakademie” ma la strada verso l’accesso allo Stato Maggiore fu interrotta dallo scoppio del primo conflitto mondiale.
Nell’agosto del 1914 fu aiutante al 2° reggimento guardie a piedi con il quale prese parte all’invasione del Belgio e alla prima Battaglia della Marna ma, nel novembre, fu gravemente ferito sul fronte orientale; ristabilitosi, prestò servizio nello Stato Maggiore prima in Polonia e Serbia e poi, nel 1916, sul fronte occidentale nella zona di Verdun e sulla Somme. Dopo altri incarichi di addetto alle operazioni nei vari fronti di guerra, arrivò alla fine del conflitto senza aver mai avuto il comando di nessun reparto di truppa.
Nel 1920 sposò Jutta Sybille, figlia di Artur Von Loesch, un proprietario terriero della Slesia. In seguito alla revisione delle frontiere imposta dal trattato di Versailles perse la principale proprietà di famiglia in Polonia.
Nello stesso anno fu Comandante di Compagnia in un reggimento di fanteria in Pomerania e, nel 1932, dopo le promozioni a maggiore e tenente colonnello, comandante del battaglione “Jager” del 4° reggimento fanteria di stanza a Kolberg.
Il primo ottobre 1936 divenne Generale di Brigata (“Generalmajor”) e, sei giorni dopo, fu nominato Sottocapo di Stato Maggiore al servizio del Generale Beck.
La sua abilità e la sua esperienza fecero in modo che, nel 1938, assumesse prima il comando della 18° Divisione di fanteria e poi la carica di Capo di Stato Maggiore nell’armata di Von Leeb per l’invasione della Cecoslovacchia; un anno dopo, dopo esser stato promosso Generale di Divisione (“Generalleutnant”), ottenne lo stesso incarico nel gruppo d’armate sud di Von Rundstedt per l’invasione della Polonia.
Nell’ottobre 1939 venne trasferito sul fronte occidentale nel gruppo d’armate “A” schierato al centro. Fu posto al comando del XXXVIII Corpo d’Armata e, con esso, partecipò alla Campagna di Francia del maggio-giugno 1940 dove realizzò il suo capolavoro. Criticò in maniera molto decisa l’operazione “Fall Gelb” in quanto, secondo il suo parere, non solo non conteneva una “indicazione chiara di condurre la campagna ad una conclusione vittoriosa", ma si limitava solamente a una parziale vittoria (la sconfitta delle truppe alleate nel Belgio) e a impadronirsi della costa sulla Manica e sul Mare del Nord (da utilizzare poi come base per operazioni contro la Gran Bretagna). Le sue critiche vennero respinte sia da Von Brauchitsch che da Halder ma Manstein non si perse d’animo. Un mese dopo, durante un pranzo con Hitler, non esitò ad esporre al Fuhrer un suo piano personale che aveva chiamato “Colpo di falce”. Gli disse che, anziché sconfiggere solamente il nemico, bisognava annientarlo e, per ottenere questo, bisognava effettuare l’attacco principale attraverso le Ardenne, attraversare nel modo più velocemente la Mosa e giungere fino al mare, nei pressi di Abbeville, per poter cosi circondare le truppe alleate dislocate nelle Fiandre. Una volta distrutte queste forze si sarebbe poi potuto pensare a sbaragliare il resto dell’esercito francese. Hitler fu colpito dall’innovazione di questo piano e alla fine l’approvò.
All’inizio della campagna di Francia i reparti di Manstein seguirono la penetrazione delle forze corazzate di sfondamento ma, nella fase conclusiva, effettuarono il primo sfondamento ad oriente di Amiens. Inoltre, il 10 giugno 1940, fu il primo ad attraversare la Senna compiendo, quello stesso giorno, una marcia di oltre 65 chilometri". La sua avanzata fu senza sosta e, nel giro di pochi giorni, raggiunse la Loira; dopo aver attraversato anche questo fiume con due divisioni giunse la notizia dell’armistizio francese firmato a Compiègne.
In Francia Manstein ebbe riuscì a mettere in pratica la “Blitzkrieg”, la cosiddetta “guerra lampo” che prevedeva l’utilizzo di carri armati in simultanea con l’appoggio dell’aviazione; quest’ultima aveva il compito sia di appoggiare le truppe a terra sia di bombardare le retrovie del nemico.
Nel febbraio del 1941 ottenne il comando del LVI Corpo corazzato che, all’inizio della campagna di Russia (operazione “Barbarossa”), venne assegnato al gruppo di armate Nord (sotto la guida del feldmaresciallo von Leeb) con il compito di raggiungere, partendo dalla Prussia orientale, la città di Leningrado. L’avanzata di Von Manstein fu velocissima: dopo aver sfondato il fronte in corrispondenza della vallata della Dubissa, in soli quattro giorni e mezzo raggiunse Dvinsk distante oltre 300 chilometri e conquistò i ponti principali sulla Dvina prima che i sovietici potessero farli saltare.
Nel mese di settembre assunse il comando dell'XI Armata (assegnata al gruppo di armate Sud sotto la guida di Von Rundstedt) con il compito di occupare la Crimea; in questa regione, infatti, i sovietici avevano la possibilità di usare le basi aeree che vi si trovavano per bombardare i campi petroliferi rumeni. Manstein attaccò e conquistò l’istmo di Pereto (permettendo agli uomini di Von Kleist di proseguire lì avanzata verso Rostov) e, dopo aver bloccato un contrattacco nemico verso la penisola di Berci, il 4 luglio si impadronì della roccaforte di Sebastopoli, sul Mar Nero. Quest’ultima vittoria gli fece ottenere il grado di Feldmaresciallo del Reich.
Sempre al comando dell'XI Armata venne rimandato a nord, nel settore di Leningrado, contribuendo alla sconfitta della seconda Armata sovietica.
Due mesi dopo ottenne il comando del Gruppo d'armate Don; il loro compito era ristabilire il contatto con la 6° armata di Paulus rimasta accerchiata a Stalingrado. Von Manstein (nonostante l’opposizione di Hitler che considerava la conquista della città sovietica un obiettivo politico fondamentale) chiese che Paulus attaccasse a sud-ovest del suo schieramento per poter poi congiungersi con le truppe inviate in suo soccorso, ma quest’ultimo comunicò che non era in grado di farlo probabilmente per non opporsi al volere del Fuhrer.
Nel gennaio del 1943 Von Manstein si rese conto che le possibilità di salvare la 6° armata ormai erano minime e capì che, per evitare il crollo di tutto il settore meridionale, bisognava ritirare le armate che si erano spinte nel Caucaso. Le sue intenzioni erano di risistemare queste armate sul fronte del Don accorciando la linea del fronte e quindi riducendo le forze necessarie alla sua difesa ma Hitler rifiutò le sue proposte sostenendo che il possesso del Caucaso e del bacino del Donetz avrebbe privato ai sovietici i rifornimenti essenziali di petrolio e minerali. Nonostante la sua abilità Von Manstein dovette affrontare quindi il nemico lasciando sempre in mano sua l’iniziativa e non potendo fare altro che ribattere colpo su colpo.
Ormai i russi erano all’offensiva anche se Von Manstein riuscì a conseguire ancora qualche parziale vittoria come la riconquista di Charkov il 14 marzo 1943.
Il 5 luglio, nella zona di Kursk, i nazisti tentarono una controffensiva (chiamata operazione “Zitadel”), alla quale parteciparono anche le truppe di Von Manstein, che sfociò nella più grossa battaglia di mezzi corazzati mai combattuta e nella quale, dopo 8 giorni di intensi combattimenti, i tedeschi ebbero la peggio.
I rapporti con Hitler ormai erano diventati tutt’altro che buoni: il Fuhrer pretendeva da Von Manstein la completa adesione politica e la cieca obbedienza sulle strategie militari non tollerando le sue continue critiche. Inoltre i due avevano anche differenti concezioni strategiche: Hitler era sempre contrario a far retrocedere le proprie truppe, Von Manstein sosteneva, invece, che l'unico modo per contrastare il sempre più potente esercito sovietico era un profondo ripiegamento. Queste differenze non fecero altro che emergere durante tutta la controffensiva sovietica nel 1943 e nel 1944.
Il 30 marzo 1944 Hitler lo convocò, insieme a Kleist, all'Obersalzberg a Berchtesgaden; li decorò entrambi con la Croce di cavaliere con fronde di quercia e spade, ma poi tolse loro i rispettivi comandi e li sostituì Schorner e Model.
Fino alla fine del conflitto Von Manstein risiedette a Celle (località mondana e di villeggiatura) e passò il suo tempo a scrivere un libro che sarebbe diventato poi un best seller.
Alla fine della guerra fu arrestato dagli inglesi. Nel 1949 fu processato ad Amburgo come criminale di guerra perché nel 1942, in Crimea, aveva ospitato un “Einsatzgruppe” che aveva il compito di ripulire la regione dagli ebrei. Fu condannato a 18 anni ma di questi ne scontò solamente 4; a causa del suo cattivo stato di salute nel maggio 1953 ottenne la grazia (su richiesta del cancelliere Adenauer).
Andò a vivere in una tranquilla villa di Irschenhausen, in Baviera.
Morì il 10 giugno 1973.

LA BIOGRAFIA DI ERWIN ROMMEL

Erwin Johannes Eugen Rommel nacque a Heidenheim, vicino a Ulm, il 15 novembre 1891 da una famiglia appartenente all’alta borghesia.
Nel giugno del 1910 entrò nell’esercito come cadetto al 124°Reggimento di fanteria di stanza a Weingarten. Nel marzo dell’anno successivo si iscrisse all’accademia di guerra di Danzica (Kriegsschule) dove, appena ventenne, mostrò subito una certa attitudine al comando e una rigida osservanza delle regole. Nel gennaio del 1912 fu nominato sottotenente a tornò al suo Reggimento. Dimostrò serietà e abilità nell’addestramento e tenne sempre un buon rapporto con i suoi uomini con i quali parlò spesso e con i quali si sottopose agli stessi durissimi ritmi. Questo fece in modo che venisse a poco a poco isolato dagli altri ufficiali, anche perché Rommel non era né un nobile, né un prussiano ed inoltre non era sprezzante verso le sue truppe.
Dopo un breve periodo trascorso al 49°Reggimento d’artiglieria da campagna a Ulm, il 31 luglio 1914 venne richiamato a Weingarten al suo 124° e, allo scoppio della prima guerra mondiale, fu assegnato al fronte francese. In battaglia si rese subito noto per la sua intraprendenza e per la sua audacia sfruttando quello che sarà una costante del suo modo di condurre le operazioni militari: l’attacco a sorpresa. Nel settembre del 1914 prese la Croce di Ferro di seconda classe mentre, nel gennaio del 1915, si guadagnò quella di prima.
Assieme a quest’ultima decorazione arrivò anche la promozione a tenente e, con il nuovo grado, venne assegnato a un battaglione alpino (Wurttembergische Gebirgsbataillon) che si andava costituendo.
Il 27 novembre 1916 sposò la sua fidanzata Lucie Maria Mollin ma poté prendersi solamente due giorni di permesso per poi tornare al suo nuovo fronte che era quello dei Balcani. In Romania fu protagonista di brillanti operazioni che lo fecero diventare uno dei condottieri più capaci e apprezzati; inoltre i suoi uomini erano orgogliosi di essere al suo comando anche perché Rommel si preoccupava sempre di ridurre al minimo le perdite dei suoi soldati.
Nel 1917 venne assegnato al fronte dell’Isonzo e il suo nome diventò sinonimo di quello che fu il momento più drammatico dell’esercito italiano: la disfatta di Caporetto.
Il 24 ottobre lanciò un’offensiva per prendere il monte Matajur, obiettivo che alla fine raggiunse catturando novemila prigionieri, 200 mitragliatrici, 81 cannoni e 250 veicoli. Dal Matajur puntò sul Piave che attraversò a nuoto insieme a sei uomini prendendo il paese di Longarone.
Grazie a queste azioni ottenne la promozione a capitano e la medaglia “Pour le Mérite” e venne trasferito allo Stato Maggiore, dove rimarrà fino alla conclusione della Prima Guerra Mondiale.
Dopo l’armistizio Rommel restò in servizio e, nel 1919, venne mandato a Friedrichshafen al comando di una compagnia di marinai; nonostante questi ultimi accettassero ordini solo dal commissario politico, alla fine Rommel riuscì a instaurare un po’ di disciplina tra di essi.
Dopo sei mesi gli venne assegnato il comando di una compagnia del 13°Reggimento di fanteria a Stoccarda, incarico che mantenne per nove anni fino a quando, nel 1928, diventò istruttore alla Scuola di Fanteria di Dresda.
Il 24 dicembre del 1928 diventò padre e, appena terminava il suo servizio, tornava subito alla sua famiglia per stare vicino a moglie e figlio.
Il 10 ottobre 1933 venne nominato maggiore e venne trasferito al comando di un Battaglione del 17°Reggimento Alpini di stanza a Goslar. In questo paese avvenne il primo incontro con Himmler e Goebbels, due tra i principali gerarchi del partito nazista che, nel frattempo, era arrivato al potere con l’elezione a cancelliere di Adolf Hitler.
Nell’autunno del 1935 Goebbels presentò Rommel al Fuhrer; quest’ultimo lo apprezzava molto come militare e, qualche settimana dopo l’incontro, gli venne conferita la promozione a tenente colonnello. Entrò quindi in servizio all’Aeronautica Militare di Potsdam, vicino a Berlino, dove divenne istruttore della “Hitlerjugend”, la gioventù hitleriana.
Nel 1937 ottenne la promozione a colonnello e, dopo un incarico presso l’Accademia Militare di Wiener (in Austria), nel 1939 arrivò anche quella a generale di brigata.
Dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale Rommel assunse il comando della Settima “Panzerdivision” con la quale, tra il maggio e il giugno 1940, varcò i confini belga e francese e, dopo una grande avanzata, ottenne la resa della piazzaforte di Cherbourg. Il metodo di Rommel era sempre quello di andare all’attacco con le sue forze corazzate e sempre alla testa dei suoi uomini. Le sue imprese sul fronte francese gli valsero la croce di “Cavaliere della Croce di Ferro” e, nel 1941, la promozione a generale di divisione.
Il secondo fronte che vide protagonista Erwin Rommel fu quello nordafricano; qui, infatti, le truppe inglesi del generale Wavell erano avanzate lungo tutta la Cirenaica ricacciando indietro gli italiani ed entrando prima a Derna e poi a Bengasi; Hitler, preoccupato per l’ormai predominio britannico, decise di aiutare Mussolini costituendo un’unità speciale denominata “Afrika Korps” con al comando proprio Rommel.
Il 24 marzo 1941, mentre le sue truppe non avevano ancora completato gli sbarchi, Rommel decise di attaccare subito gli inglesi; ottenne subito rapidi successi riconquistando, il 6 aprile, Derna e catturando il generale inglese O’Connor, l’uomo che aveva condotto tutta la precedente offensiva britannica come capo della “Western Desert Force”.
Il 18 novembre gli inglesi, con l’inizio della cosiddetta “operazione Crusader”, attaccarono le truppe italo-tedesche costringendo Rommel a un’ordinata ritirata; egli decise di indietreggiare (anche perché disponeva di scarse quantità di carburante) per prendere tempo e poter completare le nuove scorte di benzina e di carri armati.
Il 26 maggio 1942 scatenò la sua controffensiva su tutto il fronte; ottenne la resa della piazzaforte di Tobruk e, il primo di luglio, arrivò fin davanti ad El Alamein, in Egitto. Hitler gli conferì la promozione a Feldmaresciallo.
Questo fu però il massimo punto di avanzata delle truppe dell’Asse; ormai, infatti, gli inglesi avevano assunto il controllo del Mediterraneo e affondavano sempre più navi che trasportavano i rifornimenti a Rommel. Il loro nuovo comandante, Bernard Law Montgomery, alla fine dell’ottobre 1942 diede inizio al suo attacco alle truppe italo-tedesche che, nella fase iniziale, culminò con la vittoria nella battaglia di El Alamein. Durante la lenta ma inesorabile ritirata Rommel non seguì la sorte dei suoi soldati ma tornò, invece, definitivamente in Germania alla fine di marzo del 1943.
Dopo l’armistizio italiano (8 settembre) fu al comando del Gruppo Armate “B” e, nel giro di sole 24 ore, mise fuori combattimento quello che rimaneva dell’esercito ex-alleato.
Venne quindi nominato ispettore del cosiddetto “Vallo Atlantico”, il complesso di difese tedesche che si snodava dalla Norvegia ai Pirenei, e ne ricavò una pessima impressione.
Piano piano si rese conto che la Germania avrebbe perso certamente la guerra e sarebbe andata alla rovina; anche in molti ambienti tedeschi, ormai, ci si rendeva conto che Hitler non era più in grado di ragionare e avrebbe condotto il Paese alla distruzione. Inizialmente Rommel si oppose a queste idee data la sua obbedienza assoluta che imponeva il suo dovere di soldato e dato il suo forte legame personale con il Fuhrer. In due suoi incontri (17 e 29 giugno 1944) con lo stesso Hitler, però, perse ogni illusione; cercò di fargli capire che, dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, la Germania non aveva più possibilità di vincere il conflitto e bisognava chiedere un armistizio per evitare altri inutili morti. La risposta che ricevette consisteva solo in un delirante discorso sulla “immancabile” vittoria tedesca che sarebbe stata garantita dall’apporto di nuove fantastiche armi segrete a disposizione dei nazisti.
Ormai Rommel si era reso conto di quanto fosse estesa la congiura contro Hitler; in essa erano coinvolti militari (ad esempio i generali Beck e Speidel), uomini politici e uomini del partito. Non è perfettamente chiaro quanto Rommel avesse effettivamente partecipato al complotto; sembra che egli avesse approvato l’arresto del Fuhrer e che, in seguito, fosse indicato da politici e militari come l’uomo incaricato di guidare un nuovo governo che avrebbe chiesto un armistizio agli Alleati.
Il 17 luglio 1944, nel periodo in cui era comandante della 7° e della 15° armata, l’automobile sulla quale si trovava Rommel venne mitragliata da un caccia inglese in picchiata e il feldmaresciallo riportò gravi ferite alla testa; venne ricoverato presso un ospedale vicino a Saint-Germain.
Fu proprio durante la sua permanenza in ospedale che venne attuato l’attentato a Hitler nel quartier generale di Rastenburg; venne fatta esplodere una bomba proprio sotto il suo tavolo ma il Fuhrer, miracolosamente, rimase incolume; Rommel, dopo che venne a sapere delle feroci repressioni in atto negli altri gradi dell’esercito, capì che sarebbe toccata anche a lui ed infatti, il 12 ottobre 1944, ricevette una visita (nella sua casa di Herrlingen dove aveva deciso di continuare a curarsi) da parte di due uomini dell’Alto Comando.
Questi gli comunicarono che molte testimonianze avevano indicato il feldamaresciallo come partecipante alla congiura ma che Hitler, dati i passati successi conseguiti da Rommel sui vari fronti di guerra negli anni precedenti, voleva concedergli una morte onorevole mediante una capsula di cianuro e non tramite fucilazione o impiccagione. Nel caso non avesse accettato, i due generali lo avvertirono che non avrebbero potuto garantire nulla sulla sicurezza dei suoi familiari.
Rommel non aveva scelta e, dopo essere salito sull’auto dei due uomini, schiacciò la capsula e morì praticamente all’istante. Venne diffusa la notizia che la causa della morte era un improvviso arresto cardiocircolatorio e la moglie ricevette un telegramma di condoglianze di Hitler.
Il 18 ottobre 1944, a Ulm, vennero tenuti i funerali di Stato e, il giorno dopo, Rommel venne cremato e le sue ceneri sepolte nel cimitero di Herrlingen.

LA BIOGRAFIA DI HEINZ GUDERIAN

Heinz Guderian nacque a Kulm, sulla Vistola, il 17 giugno 1988; nel 1907 usci’ con ottimi voti dalla scuola cadetti di Gross-Lichterfelde e si arruolò nell’unità comandata dal padre, il X Battaglione Jager di Hannover. Nel 1911 fece un lungo corso di radiotelegrafia, una materia che si rivelò determinante per il suo futuro. Quando si sposò, nel 1913, era diventato un ufficiale di un’unità telegrafisti e, dopo un anno, diventò l’ufficiale più giovane iscritto all’accademia di guerra di Potsdam.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale però il corso fu sospeso e lui divenne un addetto alla stazione radio della 5°divisione di cavalleria. Dopo la sconfitta sulla Marna ebbe una discussione con un generale e fu assegnato, come ufficiale segnalatore, presso il quartier generale della 4°armata; qui si trovò coinvolto nella battaglia di Ypres dove si rese conto dell’importanza della mobilità, senza la quale era convinto che sarebbe stato impossibile vincere. Nel 1917 giunse la chiamata per completare il corso interrotto all’inizio della guerra e fu poi distaccato per brevi periodi presso formazioni di fanteria e artiglieria; dopo un corso di altri due mesi a Sedan arrivò l’assegnazione al corpo dello Stato Maggiore Generale (28 febbraio 1918), quello che Guderian definì “il momento di massimo orgoglio della mia vita”. Per tutto il resto dell’anno Guderian sbrigò lavoro logistico a livello di corpo d’armata, lavoro che gli permise di accumulare esperienza sui problemi relativi al rifornimento in attacco, difesa e inseguimento.
Alla fine del primo conflitto mondiale, esattamente nel gennaio del 1919, venne trasferito presso la difesa della frontiera orientale, al comando del Generale Hans Von Seeckt.
Nel 1922 gli fu affidato il compito importantissimo di studiare la possibilità di impiegare le truppe motorizzate in un esercito che non poteva avere carri armati; iniziò a leggere tutte le opere sull’argomento e si fece una cultura in fatto di guerra meccanizzata. Giunse a formarsi una teoria in cui sosteneva che il colpo vincente delle future formazioni da combattimento sarebbe stato sferrato dai mezzi corazzati appoggiati dall’aviazione e da un adeguato supporto logistico. A comandare queste formazioni ci sarebbero stati comandanti che guidavano le operazioni dal fronte e non dalle retrovie e lo avrebbero fatto impiegando moderne ricetrasmittenti in grado di collegarsi con ogni singolo veicolo. Queste formazioni composte in seguito divennero note con il nome di “Panzerdivisionen”.
Guderian ebbe molte difficoltà a convincere Hitler della validità di queste teorie; infatti, il Fuhrer era schierato dalla parte di quei generali che invece volevano creare formazioni di fanteria, artiglieria e cavalleria simili a quelle della guerra del 1914-1918; cominciò allora a montare una campagna di propaganda e, in una pubblicazione del 1933, sostenne che le “Panzerdivisionen possono ottenere un notevole successo in operazioni di sfondamento del fronte e, durante l’inseguimento, possono gettare scompiglio nelle armate nemiche in fuga”. Scrisse inoltre che “il modo più convincente per impiegarle erano le operazioni di breve durata fatte con ordini coincisi e che il fattore sorpresa deve essere un mezzo per evitare o prevenire l’azione difensiva del nemico”.
Nel 1935 Guderian riuscì a ottenere il consenso per la formazione di tre divisioni corazzate, composte però senza carri armati dato che, fino allora, ne erano stati costruiti pochissimi. La loro mancanza ostacolò la dimostrazione di quello che potevano fare le forze corazzate e, almeno per il momento, fu impossibile far comprendere, ai generali più conservatori, la loro importanza.
In seguito però Guderian si assicurò una bella vittoria quando riuscì a ottenere che tutti i carri armati disponibili fossero assegnati alle Panzerdivisionen; si basò su tre tipi di carri armati: uno leggero da ricognizione, uno medio da combattimento controcarro e uno da appoggio ravvicinato. Gli fu invece respinta la proposta di far adottare all’artiglieria pezzi corazzati semoventi che potessero operare in prima linea.
Nel febbraio 1938 assunse il comando del XVI corpo d’armata con le sue Panzerdivisionen.
Allo scoppio della guerra invece fu messo a capo del XIX Panzerkorps (una divisione panzer più due di fanteria motorizzata). Con esso inferse un duro colpo al cosiddetto “corridoio polacco”, in direzione della sua città natale di Kulm; ricevette quindi da Hitler l’ordine di avanzare nella Prussia orientale per penetrare nelle retrovie nemiche e sferrare un’offensiva verso sud. Il 17 settembre, dopo un’avanzata di ben 160 km, entrò nella città di Brest-Litovsk.
Il 27 ottobre Guderian ricevette da Hitler la Croce di cavaliere della Croce di Ferro.
Una volta conquistata la Polonia, le attenzioni di Hitler si rivolsero verso ovest per sferrare un attacco contro Inghilterra e Francia; Keitel, capo dell’OKW, convocò Guderian per avere una sua opinione sulla fattibilità di spostare le truppe meccanizzate attraverso le Ardenne. Guderian era, infatti, un convinto sostenitore del piano, ideato da Erich Von Manstein, che prevedeva di far passare le divisioni celeri attraverso questa catena montuosa; sosteneva che almeno sette delle dieci “Panzerdivisionen” avrebbero potuto raggiungere e attraversare la Mosa in cinque giorni senza bisogno di impiegare l’artiglieria pesante per sfondare la linea Maginot.
Fu proprio questo che successe il 14 maggio 1940, quando le forze corazzate tedesche travolsero quelle francesi; le “Panzerdivisionen” si spinsero molto in avanti rispetto alla più lenta fanteria appiedata e questo preoccupò non poco Von Rundstedt, dato che egli temeva un contrattacco francese sul fianco meridionale. Il 23 maggio quest’ultimo, nonostante la ferma opposizione di Guderian (ma con l’appoggio di Hitler), ordinò l’arresto dell’avanzata; questo fece in modo che gli Alleati riuscissero a disporre le proprie truppe per difendere il settore di Dunkerque. Quando l’ordine di arresto fu revocato il Panzerkorps di Guderian venne rischierato per prepararsi all’occupazione finale della Francia.
Il 16 novembre 1940 Guderian fu nominato comandante del 2° Panzergruppe.
Quando iniziarono ad arrivargli le prime voci sull’intenzione di Hitler di iniziare i preparativi per invadere l’Unione Sovietica, Guderian protestò molto con i suoi superiori facendo presente che la guerra su due fronti contro URSS e Gran Bretagna sarebbe stata estremamente rischiosa.
Nonostante la sua opposizione al piano, Guderian si mise ad addestrare le proprie “Panzerdivisionen” con gran vigore, convincendo addirittura Hitler a fare pressione sul ministro degli armamenti affinché aumentasse in maniera considerevole la produzione di carri armati. Questo, però, non avvenne dato che, per finanziarla, sarebbero occorse somme enormi che non erano disponibili; si sarebbe inoltre dovuto rallentare altri programmi importanti come la costruzione degli U-Boot.
Il 2° Panzergruppe di Guderian, insieme al 3° del generale Hoth, fu la punta di lancia del gruppo d’armate di centro (al comando del Feldmaresciallo Fedor Von Bock) che aveva come obiettivo la città si Smolensk, sulla strada per Mosca. Le perdite sovietiche, sia come uomini che come equipaggiamenti, erano talmente elevate che, verso la metà del luglio 1941, Hitler e l’alto comando cominciarono a credere di avere in pratica già vinto la campagna.
Stavano prendendo un abbaglio. E’ vero che un gran numero di divisioni e migliaia di carri armati e cannoni sovietici furono annientati ma, contrariamente alle previsioni, molte formazioni russe continuarono a venire all’attacco. Per riuscire a sopraffare il nemico entro le prime sei settimane si accese un dibattito tra Hitler e i suoi generali sul fatto di dover attaccare Mosca (come voleva l’OKH) oppure puntare su Leningrado e l’Ucraina (come voleva il Fuhrer).
Il 23 agosto, presso l’OKH, si tenne una riunione a cui parteciparono Guderian, Von Bock, Hoth, Halder e Von Brauchitsch. I primi tre volevano provare a convincere Hitler di dare priorità all’attacco su Mosca ma Von Brauchitsch li informò che, invece, si era già deciso per l’Ucraina. Il 2° Panzergruppe quindi si spinse in avanti in Ucraina facendo molti prigionieri ma senza conseguire vittorie decisive.
L’ordine di attaccare la capitale sovietica giunse alla metà di settembre. In quei giorni il Panzergruppe di Guderian si trovava a sud e a est di Kiev e dovette cambiare direttiva di avanzata. Il 28 settembre 1941 si mosse verso la linea Orel-Tula-Mosca, ma dieci giorni dopo, a Mzensk, la divisione corazzata di punta fu respinta da un attacco di numerosi carri armati sovietici KV1 e T34, nessuno dei quali poté essere distrutto da quelli tedeschi.
Quella stessa notte iniziò a nevicare; i soldati tedeschi cominciarono a soffrire spaventosamente per il freddo mentre le linee di comunicazioni e l’intero sistema logistico e dei rifornimenti sprofondava nel caos. La carenza di materiali in patria rendeva impossibile produrre anche un sufficiente numero di munizioni. Nonostante tutto la 2° Panzerarmee (cosi fu ribattezzato il 2° Panzergruppe) raggiunse Tula il primo dicembre; ormai era in vista di Mosca, anche se non era più in condizioni di combattere.
Gli appelli di Guderian per ritirarsi da questa situazione furono inascoltati. Anche se gli ordini di Hitler erano di non indietreggiare per nessun motivo, Guderian era uno di quelli che non esitava a disobbedire se la sicurezza della sua armata veniva messa in pericolo. Ebbe un colloquio con il Fuhrer per convincerlo dell’errore della strategia tedesca ma questo si rivelò inutile. Fu messo sotto l’autorità di Von Kluge e, tra i due, i rapporti si rivelarono pessimi dato che quest’ultimo continuò a negargli la libertà d’azione che chiedeva per evitare la catastrofe.
Dopo alcune discussioni Guderian, il giorno di Natale del 1941, fu destituito.
Lasciò il servizio e, per quattordici mesi, visse in campagna e segui’ “dall’esterno” gli avvenimenti bellici.
Quando, con il passare del tempo, fu chiaro che la Wehrmacht era a corto di equipaggiamento vitale e che l’industria tedesca era ormai alla paralisi, alcuni ufficiali dell’esercito chiesero a Guderian di unirsi ad un complotto per rovesciare Hitler. Egli si rifiutò nella convinzione che il miglior contributo che potesse dare era (una volta ottenuto un alto incarico) di aiutare il Fuhrer nelle sue decisioni.
Nel febbraio del 1943 Guderian fu richiamato in servizio e venne nominato ispettore generale delle truppe corazzate. Con questa nomina iniziò ad organizzare e ad addestrare la Panzerwaffe, alcune unità di terra della Luftwaffe e le Waffen SS. Nonostante la disastrosa situazione in cui si trovava la Panzerwaffe (pochi pezzi di ricambio, bassa produzione, mancato aggiornamento tecnologico dei carri armati, scarsità di numero di carri di nuova generazione Panther e Tiger), grazie all’aiuto di uno stato maggiore infaticabile, riuscì a svolgere un lavoro ottimo; infatti, grazie alla sua organizzazione, le sue divisioni corazzate furono superiori a gran parte degli avversari fino alla fine della guerra.
Non riuscì invece a dissuadere Hitler dall’assumere decisioni operative sull’andamento della guerra, decisioni che causarono alla Germania tutta una serie di sconfitte in Russia, in Africa, In Italia, in Norvegia e nell’Atlantico.
Ormai molti ufficiali avevano definitivamente capito che il Fuhrer stava portando la Germania alla rovina ed il 20 luglio 1944 decisero di mettere in azione l’attentato a Hitler; pochi giorni prima Guderian fu contattato nuovamente per dare la propria adesione al complotto ma lui si rifiutò ancora una volta.
L’attentato falli’ e molti congiurati vennero fucilati o imprigionati; il giorno dopo Hitler chiamò Guderian per fargli assumere il comando dello stato maggiore dell’esercito.
Cercò ripetutamente di contrastare gli sbagli e le valutazioni errate del Fuhrer, ma quest’ultimo era irremovibile nelle sue decisioni; riuscì però ad arrestare l’offensiva sovietica dell’estate 1944 su Varsavia e cercò anche di organizzare una consistente riserva per controbattere le avanzate delle truppe di Stalin sul fronte orientale e degli Alleati su quello occidentale. Tutto fu perduto però quando Hitler decise di destinare quella riserva per una controffensiva nelle Ardenne che non aveva nessuna possibilità di successo.
Mentre ormai la disfatta tedesca stava arrivando alla fine, il 27 marzo 1945 Guderian ebbe uno scontro molto forte con Hitler quando intervenne in difesa di un collega accusato dal Fuhrer di incompetenza. Il dittatore, in pratica, lo congedò dicendogli di prendersi 6 mesi di licenza per malattia allo scopo di recuperare la sua salute.
Dopo 6 settimane dal congedo Hitler si suicidò nel bunker della Cancelleria e Guderian fu fatto prigioniero dagli americani.
I polacchi cercarono di accusarlo per presunti crimini di guerra compiuti durante la difesa di Varsavia del 1944, ma furono ostacolati dagli americani che fecero cadere le accuse; questi ultimi permisero anche a Guderian di scrivere la sua autobiografia.
Mori’ il 14 maggio 1954.